articolo di Paolo Di Pasquale

urbanismo tattico

L’innovazione tecnologica, i cambiamenti climatici uniti alla crisi mondiale che ha investito le economie dell’ultimo decennio del XXI secolo e, non ultima, la crisi sanitaria della pandemia planetaria hanno definitivamente messo in crisi il vecchio modello di “abitare” e “attraversare” la propria città.

Il ripensamento dello spazio pubblico è diventato cruciale e strategico per la riprogettazione delle nostre metropoli. Dove infatti il tessuto edilizio è scadente, dove ci sono strade sovradimensionate, dove ettari di suolo pubblico sono perennemente occupati da auto parcheggiate, dove ci sono sottopassi ormai inutilizzati, fronti commerciali e cinema abbandonati si deve necessariamente innescare un processo che rinnovi il panorama urbano creando nuove sinergie. E’ quello che l’urbanista americano William H. Whyte nel 1988 definì con grande intuito quell’“enorme quantità di spazio ancora non sfruttato dall’immaginazione”.

In questo grande spazio urbano non immaginato e irrisolto c’è terreno fertile per l’urbanismo tattico.

urbanismo tattico
Ma cosa è esattamente l’urbanismo tattico di cui si sente spesso parlare negli ultimi anni?

Il concetto di urbanismo tattico o urbanistica tattica può essere fatto risalire al 2011 quando Mike Lydon , urban planner, scrittore ed esperto in città a misura d’uomo, ha creato il progetto The Open Streets, pubblicando poi con successo “Tactical Urbanism: Short-Term Action, Long-Term Change Vol. 1-4”, che presenta casi di successo innovativi negli USA in termini di pianificazione e progettazione urbana, basati su interventi realizzati in breve tempo e su piccola scala.
L’urbanismo tattico può quindi riassumersi in una pratica o un approccio alternativo per riqualificare e ripensare gli spazi pubblici urbani attraverso azioni e strategie soprattutto quando si dispone di un basso budget. Si interviene in sezioni limitate di territorio proponendo modelli di fruizione alternativi degli spazi pubblici e più connessi con la cittadinanza.

Chi sono gli “attori”?

Gli attori di questo “processo aperto” di solito sono l’amministrazione locale che si interfaccia con le realtà territoriali (associazioni, comitati ma anche singoli cittadini), società o attività private spesso locali e/o aziende no profit. Si individuano le esigenze degli abitanti e si cerca di dare risposte più immediate con interventi “leggeri” che non necessitano di infrastrutture urbane onerose e invasive, come nuove strade, nuove piazze o nuove aree verdi, ma piuttosto si interviene sul tessuto esistente modificandone destinazione e aspetto estetico, strappandolo spesso al degrado, all’abbandono e all’abuso stesso che alcuni soggetti ne fanno (esempio aree occupate abusivamente da attività o comportamenti illegali).

Che differenza c’è rispetto alle politiche urbanistiche “ classiche”?

Questo approccio inverte totalmente l’azione delle politiche pubbliche che si sono fatte nel secolo scorso nell’urbanistica “classica”. La pianificazione territoriale dei grandi “masterplan” vedeva il classico progetto, come si suol dire, “calato dall’alto” e l’unico decisore del “processo chiuso” era l’amministrazione pubblica, governo centrale o locale, orientato da un certo indirizzo politico. L’urbanista poi doveva trovare le soluzioni secondo la propria visione culturale spesso in contrasto con le vere esigenze della cittadinanza. Questa metodologia nell’arco degli anni ha spesso evidenziato e creato molti più problemi che fornito soluzioni.

urbanismo tattico

Dai primi anni 70 del XX secolo si è cominciato a parlare di progetti partecipativi (prime esperienze provenienti dai paesi scandinavi già negli anni 60) in cui si cercava una mediazione tra politica, progettista e cittadini. Il cosiddetto processo dal basso può presentare comunque i suoi limiti se viene a mancare una visione superiore, “alta”, che supera quella della sfera individuale, soprattutto quando non si matura una vera coscienza collettiva del bene pubblico. L’urbanismo tattico quindi si pone come ulteriore terreno di mediazione, grazie alla snellezza delle procedure burocratiche richieste, alla freschezza delle idee, al suo basso costo nella realizzazione, alla sua duttilità come un corpo liquido si infiltra nelle maglie già esistenti del territorio urbano. Si vengono così a creare concrete possibilità di crescita della socializzazione, di ripristino della legalità in una cornice estetica spesso di alto valore comunicativo e di impatto visivo che trasmette immediata fruibilità e positività.

Questo tipo di intervento sviluppato su piccola scala si pone come obiettivo la rigenerazione di piccole-medie aree di pertinenza del quartiere favorendo così, oltre una migliore qualità e vivibilità dello spazio pubblico urbano, anche una rigenerazione sociale aumentando le occasioni di socializzazione e per osmosi un possibile miglioramento delle microeconomie locali. Quindi un vero e proprio volano di rigenerazione sociale ed economica che a cascata può avere ripercussioni su più territori, ove si intende che i quartieri che formano la città, citando Bruce Sterling, sono come tante “isole nella rete”.

Quali sono gli interventi di urbanismo tattico più praticati?

Il lessico di cui si serve più comunemente l’urbanismo tattico è fatto spesso di “aree gioco pop up”, “punti ristoro – caffè, in tema street food”, della pratica del depaving (rimozione di pavimentazione per trasformare passi carrai e parcheggi in spazi verdi), della pratica del chair- bombing (realizzazione di sedute fatte con materiali di recupero) o incremento vero e proprio di panchine, miglioramento dell’arredo urbano, perfezionamento dell’illuminazione pubblica,

urbanismo tattico

con forniture e installazioni a carico dell’amministrazione locale e abbattimento di barriere fisiche non necessarie. In alcuni casi a completare il progetto si richiede l’intervento di uno o più street artist che dialoghino nel contesto urbano dell’intervento con opere non auto- referenziali per rafforzare l’identità di quel luogo e di coloro che lo abitano.

Qual è stato sinora l’impegno di Retake Roma?

Retake Roma con il progetto in fieri “Magnifica Piazza Quinto Curzio” nel VII Municipio di Roma si sta ponendo proprio come soggetto promotore di una iniziativa di urbanismo tattico in collaborazione con il VII Municipio e con soggetti privati, quali alcuni commercianti della zona. In questo intervento si è puntato molto sulla riqualificazione delle aree verdi da tempo abbandonate al degrado e all’incuria. Questo nell’ottica di un progetto pilota che dovrebbe vedere nel tempo Retake Roma proporre altre iniziative analoghe, almeno una per ogni municipio, e creare proprio quel virtuoso volano sociale ed economico.

Una componente fondamentale dei nuovi spazi pubblici urbani deve essere proprio il tema del verde, espresso fuori dalle grandi pianificazioni urbanistiche anche nella pratica dell’urbanismo tattico tramite il “guerrilla gardening”. Verde non più inteso solo come scenografia ornamentale per abbellire piazze o viali ma come vera e propria infrastruttura ecologica per migliorare la qualità dell’aria riducendo l’inquinamento atmosferico e abbattere le alte temperature registrate durante le ondate di calore, sempre più frequenti negli ultimi anni nelle grandi metropoli a causa del cambiamento climatico.

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In generale, quale dovrà essere il nostro impegno in futuro?

Il dramma che stiamo vivendo a causa della pandemia rende ancor più necessario considerare le nostre città come laboratori di esperienza e di creatività, portatrici di nuova cultura umanistica, di nuovi valori per costruire una società migliore che si prenda cura dell’ambiente come del prossimo più fragile: per poter ricostruire dalle macerie e sopravvivere come homo sapiens urbani negli anni a venire.