
Elena Pulcini è ordinaria di Filosofia sociale presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze. Da sempre interessata al tema delle passioni, dell’individualismo moderno e del legame sociale, si occupa dei possibili fondamenti emotivi di una nuova etica, proponendo un’innovativa filosofia della cura. Collabora in numerosi comitati scientifici di riviste specializzate ed è coordinatrice di diversi seminari di approfondimento.
Abbiamo notato il nome di Elena Pulcini a causa della sua costante presenza fra i riferimenti bibliografici dei libri che trattano i temi della “cura” e quello della ”passione”, entrambi alla base della attività del volontario. Leggendo i suoi testi, e ascoltando le interviste e le conferenze disponibili in rete, si avverte una sintonia che nasce seguendo i suoi articolati e rigorosi ragionamenti ma, ancor di più, osservando quello stile, che sa restare lucido e pacato, anche di fronte alle grandi sfide del nostro tempo. Un modello a cui tutti vorremmo tendere.
Le rivolgiamo le nostre domande dopo aver riflettuto un bel po’ di giorni, ma il dialogo perde subito ogni schematicità e diventa fluido, grazie anche al suo navigato esercizio di empatia. E’ evidente che si è messa nei nostri panni, le distanze si accorciano e un’ora e mezza trascorre senza che ce ne rendiamo conto.
Un estratto (circa 20 minuti) dell’intervista si può seguire cliccando sull’immagine o seguendo questo link: intervista.
Riportiamo anche, di seguito, un breve stralcio dalla sua trascrizione:
Quale deve essere la caratteristica principale del “volontario”?
In primo luogo il volontario è una persona che “vede l’altro” ed è capace di entrare in sintonia con lui.
Come si concilia l’impegno di “cura” con l’impegno per il rispetto della legalità?
Le due cose non si escludono ma possono “collaborare” fra loro. Attenzione, però, il valore della “giustizia” rischia di essere considerato in modo troppo astratto. Da solo non basta, deve anche essere preso in considerazione l’aspetto emotivo e affettivo che ci spinge al “prenderci cura” dell’altro. Il problema è che l’impegno di “cura” è sempre stato confinato nell’ambito privato, familiare, mentre sarebbe assolutamente necessario estenderlo all’esterno!
Qual è il significato del nostro “prenderci cura” della città?
Fondamentalmente voi fate un dono a degli sconosciuti
E perché alcune persone sono diffidenti?
La gente spesso non capisce perché pensa che tutto debba avere un tornaconto.
Ricerca della bellezza e lotta al degrado. Perché alcune persone non vogliono sentire parlare di “decoro” urbano?
Perché il termine “decoro” è spesso inteso in senso ipocrita, “cosmetico” come qualcosa che “trucca” una superficie sotto la quale si cela una realtà brutta. Si capisce che la ricerca della bellezza è qualcosa di molto diverso. E’ un mirare ad un equilibrio, un’armonia in cui “il fuori deve riflettere il dentro”. Attenzione però, non è che il fuori debba essere necessariamente “ordinato”, per esempio l’arte per sua natura è “disordinata”.
E allora, la street art?
Dipende di cosa si sta parlando, c’è un confine difficile da stabilire fra arte e “scarabocchi”. La cosa migliore sarebbe cercar di interagire con gli “autori”, sempre se ci fosse la disponibilità e ne valesse veramente la pena. E’ quindi opportuno cercare di fare delle distinzioni cercando di conciliare il rispetto della norma con la necessità artistica di esprimere il disordine. C’è inoltre il problema del rispetto, democratico, delle diverse sensibilità che possono essere a favore o contro.
Quindi quale valore dare alle “regole”?
La regola è importante, siamo una società molto infantile, dove si fa un uso distorto di una parola sacra, come quella di Libertà. Una tendenza che porta ad un edonismo e consumismo esasperato. E qui capiamo come le regole siano più importanti del caos, perché quest’ultimo sta distruggendo il nostro pianeta.
Quali sono gli strumenti più adatti per coinvolgere la cittadinanza e attivarla per il bene comune?
Il principale strumento siete voi stessi, i volontari. Voi fate parte dei “corpi intermedi” che si pongono fra lo stato ed il cittadino. Se non fosse così, se il cittadino avesse solo un rapporto “secco”, diretto, con le istituzioni, la democrazia si trasformerebbe in un dispotismo, sia pur “mite”, basato su forme passive di obbedienza.
Quali sono le parole migliori da usare di fronte a chi è rassegnato o si lamenta?
Io suggerirei la parola “felicità”, per far capire che occuparsi del bene comune non è solo una cosa che li riguarda, ma è anche gratificante.
E perché, occupandoci del bene comune, siamo felici?
Perché usciamo fuori dal nostro ego, che a volte ci imprigiona come una gabbia claustrofobica, povera, infelice, nella pura preoccupazione di noi stessi. La felicità include invece la relazione con l’altro, è condivisione, da distinguere dal semplice “benessere” inteso in senso puramente materialistico e individuale.

Qual è l’atteggiamento migliore da mantenere quando siamo in strada? “allegro”, “amichevole”, “competente”?
Il segreto è attingere sempre al vostro bagaglio emotivo, le persone sentono che voi in quei momenti vivete una tempesta di emozioni. Non perdete mai il contatto con le vostre emozioni.
In conclusione, cosa le viene da dirci dopo questo primo incontro con la nostra realtà di volontariato?
Non mollate! Quello che fate mi sembra una grandissima cosa. Il vostro è un gesto che restituisce bellezza ad un luogo e lo fa attraverso la condivisione. Ci sono tutti e due gli ingredienti fondamentali per migliorare il mondo.
Gli argomenti trattati in questa intervista sono stati approfonditi nelle seguenti opere:
“La Cura del Mondo – Paura e responsabilità nell’età globale” (Bollati Boringhieri, 2018 seconda edizione)
“Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale” (Bollati Boringhieri, 2020)


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