C’era una volta….”lo stracciarolo”, ovvero il “robivecchi”. Girava con il carrettino a due ruote spinto a mano, poi, modernizzatosi, con il triciclo, con l’”apetta” e così via.

Che fine faceva tutta la roba che ritirava dalle famiglie (in genere le più abbienti)? Quasi tutto veniva riutilizzato in qualche modo. Al giorno d’oggi si direbbe riciclato, ecologicamente ineccepibile, anche se fatto in modo inconsapevole. Ce lo racconta Fabrizio Mencaroni, socio storico di Retake Roma, che si è occupato molto del tema del riciclo/riuso. Fabrizio ci invita a prendere le mosse a partire dal secolo scorso, quando gli italiani stavano appena uscendo da una società di origine contadina, nella quale nulla andava sprecato. Cappotti e vestiti “rivoltati”, mobili restaurati, materassi e cuscini ricardati più e più volte dal materassaio, colli e polsini di camice a loro volta sostituiti e così via. C’erano negozi che vendevano mobili usati, vestiti usati, tutto usato. Un divano si comprava forse due volte nella vita. Un letto una volta!! I primi frigoriferi duravano vent’anni e più!!

Poi è arrivato il benessere più o meno generalizzato ed è nata la cosiddetta società dei consumi. E si prese una via, apparentemente senza ritorno, che comprendeva il rifiuto generalizzato del principio secondo il quale dobbiamo recuperare il recuperabile.
Infatti, dalla fine del ‘900 il franchising dell’usato iniziò ad alimentarsi soprattutto dal flusso generato dallo svuotamento delle residenze delle persone decedute o dei coniugi che si separano. Questa è una pratica legale, ma le cose debbono essere in ottimo stato altrimenti nessuno le vuole!

Purtroppo, oggi, le suppellettili, i vestiti e qualsiasi altro oggetto sono in gran parte di qualità discutibile, perché debbono avere prezzi bassi alla portata di tutti e si degradano rapidamente. A tutto ciò si è aggiunto il mondo dei dispositivi elettronici, soggetti a obsolescenza precoce che, contenendo grandi quantità di materie preziose, sono grande fonte di accaparramento. La conseguenza è una enorme quantità di rifiuti alla ricerca di uno smaltimento adeguato.
Fortunatamente si sta sviluppando un minimo di coscienza civica a proposito del riciclo/riuso e, di pari passo, sono state emanate una serie di normative a questo fine. Le varie aziende che si occupano dei rifiuti nelle varie città organizzano raccolte differenziate più o meno efficaci e i cittadini, in modo ancora non generalizzato, stanno entrando nel meccanismo. Purtroppo, intorno a questa tipologia di servizio si è sviluppato anche un commercio abusivo.
Si sono diffusi nelle nostre città gli adesivi e i cartelli che pubblicizzano illegalmente l’attività di trasportatori/vuota cantine, nella maggioranza dei casi illegali. I pali della segnaletica stradale o dell’illuminazione, i cassonetti stradali, gli sportelli della elettricità, acqua e telefoni, sono utilizzati a supporto di coloro che sono responsabili degli sversamenti sul territorio.

Se si riuscisse a bloccare il fenomeno dei cartelli e degli adesivi significherebbe dare un colpo alla pratica dei roghi tossici, privandola della materia prima da bruciare.
Roghi tossici? Ebbene sì. Se si affida lo smaltimento ad un soggetto che chiede una tariffa irrisoria, la quadratura dei conti deve, per forza, ottenersi in altro modo.
Per risparmiare il costo di smaltimento dei mobili, per esempio, è comodo bruciarli. Purtroppo, i mobili moderni contengono quantità significative di sostanze tossiche. Di conseguenza, si disperdono nell’aria agenti come la formaldeide o i derivati dalle plastiche combuste, che non fanno altro che aumentare l’inquinamento già poco sostenibile. Altrettanto dicasi per il ciclo indecoroso del recupero dei metalli preziosi. Protetti da sostanze plastiche o simili, al momento di tentare un riciclaggio fai-da-te remunerativo, non c’è modo più facile che metterli a fuoco per bruciare quella protezione.
Queste solo alcune delle cause dei ROGHI TOSSICI. A Roma sembra se ne registrino dai 180 ai 230 ogni anno.
In poche parole occorre non alimentare i ROGHI TOSSICI in alcuna maniera. Il cittadino non deve servirsi degli operatori che fanno pubblicità tramite adesivi e cartelli abusivi. Sarebbe anche di grande aiuto staccare tutti gli adesivi ed i cartelli di questo tipo che si trovano a portata di mano. Per consigli contattate Retake Roma.

Ma come si può estirpare questo fenomeno? Ne parliamo con Simone Preziosi, anche lui impegnato in Retake Roma, che si è dedicato a fronteggiare questo fenomeno interagendo con la Polizia Municipale e, in particolare, con i NAD, Nucleo Ambiente Decoro.
Innanzitutto bisogna sfatare l’idea che, essendo facilmente rintracciabili attraverso il numero di telefono, i traslocatori abusivi siano facilmente perseguibili. In realtà, nel caso degli onnipresenti adesivi, l’unico illecito dimostrabile è quello dell’affissione, mentre per lo sversamento occorre la flagranza, che comporta onerose indagini comprensive di appostamenti e pedinamenti. E, quand’anche si siano trovate le risorse per condurle con successo, spesso ci si trova di fronte a soggetti in condizione fiscale di nullatenenza, verso i quali una sanzione non avrebbe effetto. Inoltre, sulla base delle attuali norme è estremamente complicato chiedere il blocco dell’utenza telefonica indicata nelle affissioni abusive. Retake Roma, insieme ad altre associazioni, ha emesso lo scorso anno un comunicato per sostenere l’introduzione di alcune modifiche all’attuale legislazione che possano rendere più efficaci le azioni di contrasto.

E’ per questo che, per combattere il fenomeno e i suoi devastanti effetti sull’ambiente, è necessaria la responsabilizzazione dei cittadini, che non è limitata alla sola dimensione “morale” come vedremo.
Non tutti sono abilitati a ritirare oggetti ingombranti, è necessario disporre di una licenza, rilasciata dal ministero, e di una ulteriore autorizzazione al trattamento dei rifiuti, che può essere “in proprio”, se il trasportatore è abilitato a trasportare materiali autoprodotti, per esempio i calcinacci delle imprese edili, o “per conto terzi”, unici abilitati ad operare per le utenze cittadine.
Il cittadino che vuole disfarsi di oggetti ingombranti e non può usare il più economico servizio AMA, perché ha urgenza, o non ha la possibilità di consegnarli al piano strada, può servirsi solo di operatori che dispongono della licenza. Ottenerla non è banale, ce lo racconta Fabio Giglio, autotrasportatore e presidente dell’A.T.P, una fra le associazioni di categoria che raggruppano i trasportatori “legali”. Bisogna superare un severo esame per l’ammissione all’ Albo Nazionale dei Gestori Ambientali e dimostrare di avere adeguata dotazione e capacità finanziarie. Il possesso della licenza è il requisito minimo che dobbiamo verificare: il nostro operatore deve essere presente nell’elenco interrogabile accedendo al sito ministeriale.

Inoltre, per accertarsi che il trasporto sarà regolare, bisogna chiedere se sarà certificato tramite il documento denominato F.I.R (Formulario Identificativo dei Rifiuti) che può essere compilato solo dagli operatori iscritti all’albo.
FIR, è questa la parola magica che, una volta pronunciata, consentirà, a seconda delle espressioni usate dal traslocatore che si è contattato, di capire con chi sta parlando.

Il FIR descrive in modo sistematico il tipo e la quantità dei materiali trasportati in discarica, è prodotto in quattro copie, destinate a tutti i soggetti coinvolti. Il produttore dei rifiuti è tenuto a conservare la sua copia controfirmata in modo tale che attesti il rispetto della normativa vigente. In mancanza, nel caso si possa risalire a lui dopo l’accertamento di uno sversamento, sarà perseguito a norma di legge.
Quindi, continua Fabio Giglio, non lasciatevi convincere dalle pubblicità illegali e ingannevoli, che promettono un servizio a costi irrisori. Se li contattate è quasi certo che sarete la causa di uno sversamento abusivo che potrà essere all’origine di gravi danni ambientali e di andare incontro a guai con la legge!

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